mercoledì 18 settembre 2019

La Malattia di Vata - prima parte

Riporto un brano che mi ha colpita molto e risvegliato il piacere della cura ayurvedica. Tratto dal libro "Ayurveda : vita, salute e longevità" di Robert E. Svoboda - Ed. Armenia, 1994.

Benchè in alcune affezioni comprese nel gruppo di patologie denominate Malattia di Vata sia possibile identificare alcune specifiche malattie osteomuscolari e neurologiche, la Malattia di Vata non può essere equiparata ad una singola categoria patologica. Come la Malattia di Vata, il cancro comprende un insieme di condizioni morbose affini. Ciò che distingue il cancro dalle altre patologie è la ribellione delle cellule contro l'identità dell'organismo, una ribellione in cui, attraverso un ripetuto insulto immunitario, le cellule sediziose si riproducono autonomamente, al di fuori di ogni controllo da parte dell'organismo. Tutte le forme di cancro interessano i tre Dosha, ma, quando una patologia insorge in seguito ad un'alterazione di Vata e si manifesta attraverso una sintomatologia simile a quella di una forma di malattia Vata, va identificata come Malattia di Vata, anche se non tutti i tumori sono Malattia di Vata, cos' come la Malattia di Vata non è limitata al cancro.
Il dottor Vasudev D. Agate è docente di anatomia presso la facoltà di medicina ayurvedica nella quale io ho studiato. Il suo calvario iniziò il 17 aprile 1988, attorno alle dieci e un quarto di sera: si era coricato da poco quando un dolore lancinante gli trafisse il centro della pianta del piede, come se qualcuno gli avesse inferto una pugnalata. Il dolore continuò ad aumentare e non c'era cura che fosse in grado di attenuarlo. Gli esami dl sangue a cui si sottopose il giorno seguente evidenziarono un aumento dei glibuli bianchi pari a dieci volte il,valore normale, inoltre il 19% dei leucociti erano blastociti, cioè cellule immature. Dopo un secondo esame del sangue, che confermò l'esito di quello precedente, il professor Agate si sottopose ad una biopsia del midollo osseo. La diagnosi fu una sentenza di morte: leucemia mieloblastica acuta in fase avanzata, una malattia che, anche se curata con la chemioterapia, non concede al paziente più di un anno di vita. Nel giro di un giorno, dal 2 al 3 maggio, i blastociti aumentarono del 67%, e gli specialisti sentenziarono che al professore Agate sarebbero rimasti da otto giorni a due mesi di vita ma in cuor loro pensavano che con ogni probabilità la morte sarebbe sopraggiunta nell'arco di 24 ore. Dapprima gli proposero di sottoporsi a cure sperimentali molto costose ma poi, da medico a medico, gli consigliarono di andare a casa ad aspettare la fine.
Quella sentenza di morte sconvolse il dottor Agate, che fu colto da una profonda crisi di pianto. Il 3 maggio, Vaidya B. P. Nanal, il più eminente medico ayurvedico di Poona, andò a trovarlo e si trattenne con lui a lungo, cercando di ricostruire l'evoluzione della sua malattia. Emerse così che quella che sembrava una patologia con un esordio improvviso, in realtà era stata preceduta da numerosi segni premonitori. In marzo la moglie del dottor Agate aveva avuto un presagio infausto e, dal 12 aprile, il marito aveva cominciato a lamentare dolori in strane parti del corpo, per esempio al centro dell'avambraccio e del palmo della mano; ma sia lui che la moglie, anche lei medico, li avevano attribuiti ad uno sforzo fisico. Un farmaco ayurvedico aveva temporaneamente soppresso il dolore ed il mattino del 17 aprile il dottor Agate aveva detto: "Oggi non farò sforzi, starò a riposo tutto il giorno e vediamo che cosa succede."
Vaidya Nanal aveva visitato per la prima volta il collega nel 1967 e già allora aveva notato che Agate aveva una costituzione di tipo vata-pitta "molto delicata", mostrava un cattivo nutrimento del tessuto midollare (come provavano, fra l'altro, l'improvviso distacco della retina di cui aveva sofferto in seguito ad attività sportiva, ed un improvviso episodio di cecità temporanea), un cattivo nutrimento del sangue (la sua emoglobina non aveva mai superato i 7,5 gm/100 ml, un valore corrispondente alla metà di quello normale; inoltre soffriva di epistassi e di altre forme minori di emorragia, soprattutto nei mesi estivi) ed aveva l'abitudine di mangiare ogni sorta di cibo dannoso per la salute.
Vaidya Nanal ignorò gli esami del sangue, il referto della biopsia e la diagnosi dei medici allopatici, e preferì esaminare il caso da un punto di vista strettamente ayurvedico. Quando vata penetra nelle ossa o nel midollo, provoca dolore intenso alle ossa e alle articolazioni, perdita di forza muscolare, insonnia e dolore costante e diffuso in tutto il corpo. Questi sintomi e la costatazione del cattivo stato di nutrimento dei tessuti, rendevano chiara la diagnosi: Malattia di Vata, cioè vata-nelle-ossa-e-nel-midollo, con perdita secondaria di ojas (un sintomo della quale è l'intensa paura). La prognosi, pensò Vaidya Nanal, non era fausta: "Se si attiene ad un corretto regime alimentare, andrà tutto bene ma questa è soltanto una terapia fisica; il paziente deve assumere il giusto atteggiamento mentale ed in questo momento è in preda al terrore; benché la sua capacità di discernimento sia soddisfacente, ahamkara [la forza che determina l'individualità di un organismo, l'Io], può creare qualche problema.
Vaidya Nanal, ha conservato le cartelle cliniche di pazienti, che in un periodo di venti anni, dopo essersi sottoposti a chemioterapia, interventi chirurgici e radioterapia, sono completamente guariti dal cancro grazie alla medicina ayurvedica. Nel caso del dottor Agate, tuttavia, la medicina allopatica non era nemmeno in grado di esprimere una terapia, perciò sarebbe dovuto bastare il trattamento ayurvedico. Il principale obiettivo della cura doveva essere quello di calmare vata e di purificare il sangue. Il dottor Agate sospese ogni altra terapia (ad eccezione dei sali cellulari omeopatici) e a partire dalle 7 del mattino del giorno 7 maggio seguì soltanto le indicazioni di Vaidya Nanal. Per prima cosda assunse una polvere contenente bhasma [preparazione calcinata molto elaborata] di argento e tormalina, mescolata con ashvagandha, Sariva [Hemidesmus indicus - salsapariglia indiana], zolfo purificato, estratto di perla, noce vomica purificata ed altri ingredienti, ed insieme a Dhatri Leha (una marmellata purificata a base di amalaki); dopodiché mangiò due mandorle messe a bagno la sera precedente; bevve latte medicato con ashvagandha ed altre painte. Dopo mezz'ora assunse sue pillole di Arogya Vardhini e due pillole di un preparato a base di curcuma con tre cucchiaini di ghee. "La maggior parte degli scienziati sconsiglia il consumo di grassi agli ammalati di cancro ma io ne mangiai molti" dichiara il dottor Agate.
A mezzogiorno e alla sera, assunse altre due pillole di Arogya Vardhini e di curcuma e, prima di  coricarsi, un cucchiaino colmo di Gandharva Haritaki (un praparato a base di haritaki e olio di ricino), con un decotto di erbe fra i quali sariva. Oltre a questa terapia, il paziente si sottopose ogni giorno ad una triplice seduta di massaggi con olio di Bala Narayana: ogni massaggio, che durava trenta minuti, era seguito da un'applicazione di acqua calda della durata di un quarto d'ora: l'olio ed il calore sono importantissimi per il controllo di vata. L'olio veniva spalmato lentamente e con estrema delicatezza, perché alla minima pressione, l'ammalato urlava di dolore. ⟶ Continua




























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