Dall'ayurveda allo sviluppo sostenibile, attraverso le qualità del Cuore e del Retto Agire.
sabato 21 dicembre 2019
martedì 24 settembre 2019
La Malattia di Vata - terza parte
La recita dei mantra genera un'immagine nella mente della persona: ripetendo il mantra Gayatri, il dottor Agate aveva creato nella propria coscienza l'immagine del sole. Il sole è un essere potente, nobile, che infonde salute e sconfigge le malattie e i suoi raggi scacciano la paura e la debolezza dal cuore: l'immagine del sole, insieme alle vibrazione dei mantra, ha trasmesso alla mente spesso incline alla negatività queste qualità positive. Il potere dell'immaginazione ed, in particolare, della visualizzazione è tale da trasformare ciò che si "vede" in realtà. Per questo va esercitato con estrema cautela. Ogni pensiero, infatti, influenza il corpo; nell'immaginazione, il fine non giustifica i mezzi, è il mezzo stesso. Visualizzare un comportamento violento, come quelle delle cellule del sistema immunitario che aggrediscono le cellule cancerose, rafforza la violenza della malattia; in fondo anche le cellule tumorali appartengono al corpo ed aggredirle significa aggredire l'organismo. E, poiché al mondo c'è già tanta violenza, dobbiamo visualizzare presenze benevole e costruttive e, con il loro aiuto, creare un'atmosfera di benevolenza nella nostra vita.
Va sottolineato con molta chiarezza che il mantra Gayatri non è una "cura contro il cancro", così come non lo sono le bhasma d'oro o d'argento, l'ashvagandha, l'amalaki o qualsiasi altra pianta o minerale. Il cancro è una malattia allopatica mentre vata-nelle-ossa-e-nel-midollo è una patologia ayurvedica. Vaidya Nanal afferma che non solo adegua la terapia ai singoli pazienti ma che sceglie anche i mantra a seconda del suo interlocutore: in altre parole, la cura nel suo complesso, va calibrata in base alle esigenze specifiche dell'ammalato da curare.
Il dottor Agate riprese a frequentare la facoltà di medicina ayurvedica nel luglio del 1988 e, a metà agosto, ricominciò ad insegnare. Continuò a sottoporsi a massaggi a base di olio e ad applicazioni di calore tre volte al giorno per un anno e mezzo, poi ridusse la frequenza ad una sola volta al giorno, perché il dolore era completamente scomparso. Pur lamentando ancora l'eruzione cutanea che era insorta poco dopo l'esordio della malattia ed altri sintomi minori, come il sanguinamento occasionale delle gengive e la tosse secca, nel complesso, a metà del 1991 il dottor Agate poteva dire di essere tornato alla normalità.
Vedendo che il paziente non era morto nel giro di pochi mesi, come avevano previsto, i medici allopatici dissero: "Evidentemente, abbiamo sbagliato la diagnosi: doveva trattarsi di una pseudoleucemia." Ma dopo aver riesaminato i referti dei test di laboratorio, si persuasero che la loro diagnosi iniziale era corretta. Allora dissero: "Probabilmente la malattia è in fase di remissione ma prima o poi si aggraverà di nuovo." Al che Vaidya Nanal replicò: "Io non ho mai diagnosticato un cancro, perciò non ho idea se la malattia sia in fase di remissione oppure no. Il nostro modo di pensare è completamente diverso dall'approccio allopatico."
Il cancro può essere chiamato la "malattia della rinuncia", perché si tratta di una patologia in cui l'identità del soggetto "rinuncia" alle proprie responsabilità e permette la nascita di un nuovo centro di autocoscienza all'interno dell'organismo. In alcuni casi, un grave danno fisico, come quello provocato da radiazioni, sostanze chimiche o da un'epatite B cronica, basta da solo ad indurre alla resa anche l'individuo bipolare più positivo ed equilibrato, perché convince le cellule del suo corpo dell'impossibilità di continuare a vivere. In altri casi, invece, corpi perfettamente sani da ogni punto di vista, si consumano perché la mente perde "la propria ragione di vivere".
Ma, in genere, quando l'Io decide di gettare la spugna, significa che tutti e tre gli Involucri (quello del Cibo, quello del Prana e quello della Mente) sono stati aggrediti da agenti patogeni e che è necessario curarli se si vuole restituire integrità ad ahamkara. Ma soprattutto è importante curare la mente, perché il cancro è un'aggressione al livello più profondo dell'identità della persona, e soltanto guarendo la sua essenza di individuo si possono liberare tutti gli organi del corpo dalla presenza maligna della malattia.
Per quanto possa sembrare sciocco, il malato di cancro deve sedersi e parlare a se stesso: deve riunire i membri del proprio consiglio di amministrazione e fare in modo che la sua mente, il suo corpo ed il suo spirito prendano drastici provvedimenti per cambiare la situazione. ...Se non ci sentiamo abbastanza forti da affrontare da soli il nostro "io ombra", dobbiamo cercare qualcosa (come il sole) o qualcuno capace di agire al posto nostro.
La diarrea, una delle aggressioni meno pericolose alla nostra identità, ed il cancro, una delle minacce più pericolose alla nostra esistenza, hanno entrambe prajnaparadha come causa prima. Uno dei motti dell'Ayurveda è "cura organica contro le malattie organiche", ma raramente una terapia organica basta a scacciare completamente la malattia dall'organismo, perché non è in grado di eliminare la "trasgressione volitiva" dalla mente. Soltanto una cura che miri a compensare gli squilibri a tutti i livelli dell'organismo può definirsi un'autentica terapia ayurvedica.
Tratto dal libro "Ayurveda : vita, salute e longevità" di Robert E. Svoboda - Ed. Armenia, 1994.
Va sottolineato con molta chiarezza che il mantra Gayatri non è una "cura contro il cancro", così come non lo sono le bhasma d'oro o d'argento, l'ashvagandha, l'amalaki o qualsiasi altra pianta o minerale. Il cancro è una malattia allopatica mentre vata-nelle-ossa-e-nel-midollo è una patologia ayurvedica. Vaidya Nanal afferma che non solo adegua la terapia ai singoli pazienti ma che sceglie anche i mantra a seconda del suo interlocutore: in altre parole, la cura nel suo complesso, va calibrata in base alle esigenze specifiche dell'ammalato da curare.
Il dottor Agate riprese a frequentare la facoltà di medicina ayurvedica nel luglio del 1988 e, a metà agosto, ricominciò ad insegnare. Continuò a sottoporsi a massaggi a base di olio e ad applicazioni di calore tre volte al giorno per un anno e mezzo, poi ridusse la frequenza ad una sola volta al giorno, perché il dolore era completamente scomparso. Pur lamentando ancora l'eruzione cutanea che era insorta poco dopo l'esordio della malattia ed altri sintomi minori, come il sanguinamento occasionale delle gengive e la tosse secca, nel complesso, a metà del 1991 il dottor Agate poteva dire di essere tornato alla normalità.
Vedendo che il paziente non era morto nel giro di pochi mesi, come avevano previsto, i medici allopatici dissero: "Evidentemente, abbiamo sbagliato la diagnosi: doveva trattarsi di una pseudoleucemia." Ma dopo aver riesaminato i referti dei test di laboratorio, si persuasero che la loro diagnosi iniziale era corretta. Allora dissero: "Probabilmente la malattia è in fase di remissione ma prima o poi si aggraverà di nuovo." Al che Vaidya Nanal replicò: "Io non ho mai diagnosticato un cancro, perciò non ho idea se la malattia sia in fase di remissione oppure no. Il nostro modo di pensare è completamente diverso dall'approccio allopatico."
Il cancro può essere chiamato la "malattia della rinuncia", perché si tratta di una patologia in cui l'identità del soggetto "rinuncia" alle proprie responsabilità e permette la nascita di un nuovo centro di autocoscienza all'interno dell'organismo. In alcuni casi, un grave danno fisico, come quello provocato da radiazioni, sostanze chimiche o da un'epatite B cronica, basta da solo ad indurre alla resa anche l'individuo bipolare più positivo ed equilibrato, perché convince le cellule del suo corpo dell'impossibilità di continuare a vivere. In altri casi, invece, corpi perfettamente sani da ogni punto di vista, si consumano perché la mente perde "la propria ragione di vivere".
Ma, in genere, quando l'Io decide di gettare la spugna, significa che tutti e tre gli Involucri (quello del Cibo, quello del Prana e quello della Mente) sono stati aggrediti da agenti patogeni e che è necessario curarli se si vuole restituire integrità ad ahamkara. Ma soprattutto è importante curare la mente, perché il cancro è un'aggressione al livello più profondo dell'identità della persona, e soltanto guarendo la sua essenza di individuo si possono liberare tutti gli organi del corpo dalla presenza maligna della malattia.
Per quanto possa sembrare sciocco, il malato di cancro deve sedersi e parlare a se stesso: deve riunire i membri del proprio consiglio di amministrazione e fare in modo che la sua mente, il suo corpo ed il suo spirito prendano drastici provvedimenti per cambiare la situazione. ...Se non ci sentiamo abbastanza forti da affrontare da soli il nostro "io ombra", dobbiamo cercare qualcosa (come il sole) o qualcuno capace di agire al posto nostro.
La diarrea, una delle aggressioni meno pericolose alla nostra identità, ed il cancro, una delle minacce più pericolose alla nostra esistenza, hanno entrambe prajnaparadha come causa prima. Uno dei motti dell'Ayurveda è "cura organica contro le malattie organiche", ma raramente una terapia organica basta a scacciare completamente la malattia dall'organismo, perché non è in grado di eliminare la "trasgressione volitiva" dalla mente. Soltanto una cura che miri a compensare gli squilibri a tutti i livelli dell'organismo può definirsi un'autentica terapia ayurvedica.
Tratto dal libro "Ayurveda : vita, salute e longevità" di Robert E. Svoboda - Ed. Armenia, 1994.
sabato 21 settembre 2019
La Malattia di Vata - parte seconda
Sembra che il cancro si sviluppi in organi di particolare significato psicologico per il soggetto. Sebbene sia buona norma iniziare la terapia proprio dalla sede in cui la malattia si manifesta, è necessario estenderla poi a tutto l'organismo: infatti, oltre ad eliminare la malignità dall'organo colpito, è importante ripristinare l'armonia fra l'organo e il corpo per prevenire l'insorgenza del tumore in un'altra sede. Nessuno dei farmaci somministrati da Vaidya Nanal al dottor Agate era mirato ad uccidere le cellule malate che, dopo tutto, rappresentavano soltanto il sintomo della condizione morbosa, cioè indicavano che il midollo osseo non era sano. Anziché eliminare i tessuti non più funzionali, l'Ayurveda cerca di farli guarire, ravvivando il loro fuoco digestivo e nutrendoli. La violenza accresce la paura delle cellule mentre il nutrimento le rassicura.
A poco a poco, il dolore diminuì e, dopo dieci giorni dall'inizio della cura, il dottor Agate cominciò a fare il giro della stanza. Dopo quindici giorni riuscì a raggiungere il bagno e, dopo tre settimane, camminava, autonomamente, senza l'aiuto di alcun sostegno. Dopo un mese dall'inizio della terapia, il paziente era in grado di farsi il bagno da solo. Il dolore migratorio alle articolazioni persisteva ma nel giro di tre mesi scomparve completamente e così anche la febbricola che lo aveva afflitto fin dall'inizio della malattia.
Dopo un mese e mezzo di terapia, Vaidya Nanal modificò la cura, aggiungendo la bhasma d'oro, eliminando lo zolfo, la noce vomica e la perla e sostituendo le pillole di curcuma con Laghu Malini Vasanta. Inoltre, avendo scoperto che il paziente soffriva di una grave forma di stitichezza da almeno vent'anni, gli prescrisse un'enteroclisi a base circa di un etto e mezzo di olio di sesamo, da fare alla sera, raccomandandogli di trattenere l'olio il più a lungo possibile ed almeno per un quarto d'ora. Il dottor Agate seguì il suo consiglio ed ogni sera per tre mesi fece un clistere di olio di sesamo, trattenendo il liquido per tutta la notte.Poi, a partire dal mese di novembre, passò ad un'enteroclisi ogni due giorni. A gennaio, però, si accorse che il suo intestino funzionava regolarmente soltanto nei giorni in cui non praticava il clistere; allora Vaidya Nanal gli suggerì di sospendere le lavande, dicendo: "Adesso non ha più bisogno di enteroclismi; quando una terapia comincia a produrre effetti contrari a quelli desiderati, significa che è ora di cambiarla."
L'epistassi, di cui Agate aveva sofferto per tutta la vita, lo afflisse spesso anche durante la cura. I pazienti soffrono spesso di epistassi e, a volte, muoiono proprio a causa di questa o di altre forme di emorragia. Maggio è il mese centrale dell'estate a Poona e ogni sera, sotto l'influsso di pitta aggravato dalla stagione estiva, il dottor Agate lamentò perdite di sangue per sette o otto ore di fila, dalle sette di sera fino all'una o due di notte, con grave preoccupazione sua e dei suoi familiari. Vaidya Nanal gli insegnò ad immergere un batuffolo di cotone nel succo di gramigna e a fare impacchi nasali per tutta la notte e, se necessario, anche il giorno successivo. Dopo questo trattamento, la frequenza delle emorragie diminuì progressivamente, fino a quando le epistassi cessarono del tutto. "Oltre ad apprezzare le proprietà emostatiche della gramigna" - spiega il dottor Agate - "noi in India crediamo che questa pianta abbia il potere di rimuovere gli ostacoli, in quanto è amata da Ganesha, il dio che elimina gli ostacoli."
Dopo circa sei mesi, gli esami del sangue evidenziavano che i valori dei globuli bianchi cominciavano a tornare alla normalità ma Vaidya Nanal continuò ad ignorarli: si trattava di un dato irrilevante ai fini della sua valutazione del paziente. Un giorno di novembre, nel corso di una delle sue abituali visite all'ammalato, il medico ayurvedico disse: "Lei sta rispondendo bene alla cura ma non potrà mai guarire del tutto fino a quando ci sarà paura nella sua mente. Io posso curare il corpo ma se lei vuole realmente riconquistare la salute deve liberarsi della paura: perciò da oggi deve recitare ogni giorno il mantra Gayatri."
Il mantra Gayatri è un'invocazione al sole, il mantra vedico per eccellenza. Il dottor Agate era agnostico e aveva poca fiducia nei mantra ma poiché credeva ciecamente nel Vaidya Nanal, che lo aveva strappato alla morte, incominciò a ripetere il mantra Gayatri 108 volte al giorno, inspirando, trattenendo il respiro ed espirando in corrispondenza di alcune sillabe, come il collega gli aveva spiegato. Gli effetti non tardarono a farsi sentire: in breve, la paura si dileguò, lasciando il posto ad una fiducia e ad un ottimismo crescenti. Oggi il dottor Agate recita il mantra Gayatri tutti i giorni per più di mille volte al giorno. ⟶ Continua
A poco a poco, il dolore diminuì e, dopo dieci giorni dall'inizio della cura, il dottor Agate cominciò a fare il giro della stanza. Dopo quindici giorni riuscì a raggiungere il bagno e, dopo tre settimane, camminava, autonomamente, senza l'aiuto di alcun sostegno. Dopo un mese dall'inizio della terapia, il paziente era in grado di farsi il bagno da solo. Il dolore migratorio alle articolazioni persisteva ma nel giro di tre mesi scomparve completamente e così anche la febbricola che lo aveva afflitto fin dall'inizio della malattia.
Dopo un mese e mezzo di terapia, Vaidya Nanal modificò la cura, aggiungendo la bhasma d'oro, eliminando lo zolfo, la noce vomica e la perla e sostituendo le pillole di curcuma con Laghu Malini Vasanta. Inoltre, avendo scoperto che il paziente soffriva di una grave forma di stitichezza da almeno vent'anni, gli prescrisse un'enteroclisi a base circa di un etto e mezzo di olio di sesamo, da fare alla sera, raccomandandogli di trattenere l'olio il più a lungo possibile ed almeno per un quarto d'ora. Il dottor Agate seguì il suo consiglio ed ogni sera per tre mesi fece un clistere di olio di sesamo, trattenendo il liquido per tutta la notte.Poi, a partire dal mese di novembre, passò ad un'enteroclisi ogni due giorni. A gennaio, però, si accorse che il suo intestino funzionava regolarmente soltanto nei giorni in cui non praticava il clistere; allora Vaidya Nanal gli suggerì di sospendere le lavande, dicendo: "Adesso non ha più bisogno di enteroclismi; quando una terapia comincia a produrre effetti contrari a quelli desiderati, significa che è ora di cambiarla."
L'epistassi, di cui Agate aveva sofferto per tutta la vita, lo afflisse spesso anche durante la cura. I pazienti soffrono spesso di epistassi e, a volte, muoiono proprio a causa di questa o di altre forme di emorragia. Maggio è il mese centrale dell'estate a Poona e ogni sera, sotto l'influsso di pitta aggravato dalla stagione estiva, il dottor Agate lamentò perdite di sangue per sette o otto ore di fila, dalle sette di sera fino all'una o due di notte, con grave preoccupazione sua e dei suoi familiari. Vaidya Nanal gli insegnò ad immergere un batuffolo di cotone nel succo di gramigna e a fare impacchi nasali per tutta la notte e, se necessario, anche il giorno successivo. Dopo questo trattamento, la frequenza delle emorragie diminuì progressivamente, fino a quando le epistassi cessarono del tutto. "Oltre ad apprezzare le proprietà emostatiche della gramigna" - spiega il dottor Agate - "noi in India crediamo che questa pianta abbia il potere di rimuovere gli ostacoli, in quanto è amata da Ganesha, il dio che elimina gli ostacoli."
Dopo circa sei mesi, gli esami del sangue evidenziavano che i valori dei globuli bianchi cominciavano a tornare alla normalità ma Vaidya Nanal continuò ad ignorarli: si trattava di un dato irrilevante ai fini della sua valutazione del paziente. Un giorno di novembre, nel corso di una delle sue abituali visite all'ammalato, il medico ayurvedico disse: "Lei sta rispondendo bene alla cura ma non potrà mai guarire del tutto fino a quando ci sarà paura nella sua mente. Io posso curare il corpo ma se lei vuole realmente riconquistare la salute deve liberarsi della paura: perciò da oggi deve recitare ogni giorno il mantra Gayatri."
Il mantra Gayatri è un'invocazione al sole, il mantra vedico per eccellenza. Il dottor Agate era agnostico e aveva poca fiducia nei mantra ma poiché credeva ciecamente nel Vaidya Nanal, che lo aveva strappato alla morte, incominciò a ripetere il mantra Gayatri 108 volte al giorno, inspirando, trattenendo il respiro ed espirando in corrispondenza di alcune sillabe, come il collega gli aveva spiegato. Gli effetti non tardarono a farsi sentire: in breve, la paura si dileguò, lasciando il posto ad una fiducia e ad un ottimismo crescenti. Oggi il dottor Agate recita il mantra Gayatri tutti i giorni per più di mille volte al giorno. ⟶ Continua
mercoledì 18 settembre 2019
La Malattia di Vata - prima parte
Riporto un brano che mi ha colpita molto e risvegliato il piacere della cura ayurvedica. Tratto dal libro "Ayurveda : vita, salute e longevità" di Robert E. Svoboda - Ed. Armenia, 1994.
Benchè in alcune affezioni comprese nel gruppo di patologie denominate Malattia di Vata sia possibile identificare alcune specifiche malattie osteomuscolari e neurologiche, la Malattia di Vata non può essere equiparata ad una singola categoria patologica. Come la Malattia di Vata, il cancro comprende un insieme di condizioni morbose affini. Ciò che distingue il cancro dalle altre patologie è la ribellione delle cellule contro l'identità dell'organismo, una ribellione in cui, attraverso un ripetuto insulto immunitario, le cellule sediziose si riproducono autonomamente, al di fuori di ogni controllo da parte dell'organismo. Tutte le forme di cancro interessano i tre Dosha, ma, quando una patologia insorge in seguito ad un'alterazione di Vata e si manifesta attraverso una sintomatologia simile a quella di una forma di malattia Vata, va identificata come Malattia di Vata, anche se non tutti i tumori sono Malattia di Vata, cos' come la Malattia di Vata non è limitata al cancro.
Il dottor Vasudev D. Agate è docente di anatomia presso la facoltà di medicina ayurvedica nella quale io ho studiato. Il suo calvario iniziò il 17 aprile 1988, attorno alle dieci e un quarto di sera: si era coricato da poco quando un dolore lancinante gli trafisse il centro della pianta del piede, come se qualcuno gli avesse inferto una pugnalata. Il dolore continuò ad aumentare e non c'era cura che fosse in grado di attenuarlo. Gli esami dl sangue a cui si sottopose il giorno seguente evidenziarono un aumento dei glibuli bianchi pari a dieci volte il,valore normale, inoltre il 19% dei leucociti erano blastociti, cioè cellule immature. Dopo un secondo esame del sangue, che confermò l'esito di quello precedente, il professor Agate si sottopose ad una biopsia del midollo osseo. La diagnosi fu una sentenza di morte: leucemia mieloblastica acuta in fase avanzata, una malattia che, anche se curata con la chemioterapia, non concede al paziente più di un anno di vita. Nel giro di un giorno, dal 2 al 3 maggio, i blastociti aumentarono del 67%, e gli specialisti sentenziarono che al professore Agate sarebbero rimasti da otto giorni a due mesi di vita ma in cuor loro pensavano che con ogni probabilità la morte sarebbe sopraggiunta nell'arco di 24 ore. Dapprima gli proposero di sottoporsi a cure sperimentali molto costose ma poi, da medico a medico, gli consigliarono di andare a casa ad aspettare la fine.
Quella sentenza di morte sconvolse il dottor Agate, che fu colto da una profonda crisi di pianto. Il 3 maggio, Vaidya B. P. Nanal, il più eminente medico ayurvedico di Poona, andò a trovarlo e si trattenne con lui a lungo, cercando di ricostruire l'evoluzione della sua malattia. Emerse così che quella che sembrava una patologia con un esordio improvviso, in realtà era stata preceduta da numerosi segni premonitori. In marzo la moglie del dottor Agate aveva avuto un presagio infausto e, dal 12 aprile, il marito aveva cominciato a lamentare dolori in strane parti del corpo, per esempio al centro dell'avambraccio e del palmo della mano; ma sia lui che la moglie, anche lei medico, li avevano attribuiti ad uno sforzo fisico. Un farmaco ayurvedico aveva temporaneamente soppresso il dolore ed il mattino del 17 aprile il dottor Agate aveva detto: "Oggi non farò sforzi, starò a riposo tutto il giorno e vediamo che cosa succede."
Vaidya Nanal aveva visitato per la prima volta il collega nel 1967 e già allora aveva notato che Agate aveva una costituzione di tipo vata-pitta "molto delicata", mostrava un cattivo nutrimento del tessuto midollare (come provavano, fra l'altro, l'improvviso distacco della retina di cui aveva sofferto in seguito ad attività sportiva, ed un improvviso episodio di cecità temporanea), un cattivo nutrimento del sangue (la sua emoglobina non aveva mai superato i 7,5 gm/100 ml, un valore corrispondente alla metà di quello normale; inoltre soffriva di epistassi e di altre forme minori di emorragia, soprattutto nei mesi estivi) ed aveva l'abitudine di mangiare ogni sorta di cibo dannoso per la salute.
Vaidya Nanal ignorò gli esami del sangue, il referto della biopsia e la diagnosi dei medici allopatici, e preferì esaminare il caso da un punto di vista strettamente ayurvedico. Quando vata penetra nelle ossa o nel midollo, provoca dolore intenso alle ossa e alle articolazioni, perdita di forza muscolare, insonnia e dolore costante e diffuso in tutto il corpo. Questi sintomi e la costatazione del cattivo stato di nutrimento dei tessuti, rendevano chiara la diagnosi: Malattia di Vata, cioè vata-nelle-ossa-e-nel-midollo, con perdita secondaria di ojas (un sintomo della quale è l'intensa paura). La prognosi, pensò Vaidya Nanal, non era fausta: "Se si attiene ad un corretto regime alimentare, andrà tutto bene ma questa è soltanto una terapia fisica; il paziente deve assumere il giusto atteggiamento mentale ed in questo momento è in preda al terrore; benché la sua capacità di discernimento sia soddisfacente, ahamkara [la forza che determina l'individualità di un organismo, l'Io], può creare qualche problema.
Vaidya Nanal, ha conservato le cartelle cliniche di pazienti, che in un periodo di venti anni, dopo essersi sottoposti a chemioterapia, interventi chirurgici e radioterapia, sono completamente guariti dal cancro grazie alla medicina ayurvedica. Nel caso del dottor Agate, tuttavia, la medicina allopatica non era nemmeno in grado di esprimere una terapia, perciò sarebbe dovuto bastare il trattamento ayurvedico. Il principale obiettivo della cura doveva essere quello di calmare vata e di purificare il sangue. Il dottor Agate sospese ogni altra terapia (ad eccezione dei sali cellulari omeopatici) e a partire dalle 7 del mattino del giorno 7 maggio seguì soltanto le indicazioni di Vaidya Nanal. Per prima cosda assunse una polvere contenente bhasma [preparazione calcinata molto elaborata] di argento e tormalina, mescolata con ashvagandha, Sariva [Hemidesmus indicus - salsapariglia indiana], zolfo purificato, estratto di perla, noce vomica purificata ed altri ingredienti, ed insieme a Dhatri Leha (una marmellata purificata a base di amalaki); dopodiché mangiò due mandorle messe a bagno la sera precedente; bevve latte medicato con ashvagandha ed altre painte. Dopo mezz'ora assunse sue pillole di Arogya Vardhini e due pillole di un preparato a base di curcuma con tre cucchiaini di ghee. "La maggior parte degli scienziati sconsiglia il consumo di grassi agli ammalati di cancro ma io ne mangiai molti" dichiara il dottor Agate.
A mezzogiorno e alla sera, assunse altre due pillole di Arogya Vardhini e di curcuma e, prima di coricarsi, un cucchiaino colmo di Gandharva Haritaki (un praparato a base di haritaki e olio di ricino), con un decotto di erbe fra i quali sariva. Oltre a questa terapia, il paziente si sottopose ogni giorno ad una triplice seduta di massaggi con olio di Bala Narayana: ogni massaggio, che durava trenta minuti, era seguito da un'applicazione di acqua calda della durata di un quarto d'ora: l'olio ed il calore sono importantissimi per il controllo di vata. L'olio veniva spalmato lentamente e con estrema delicatezza, perché alla minima pressione, l'ammalato urlava di dolore. ⟶ Continua
Benchè in alcune affezioni comprese nel gruppo di patologie denominate Malattia di Vata sia possibile identificare alcune specifiche malattie osteomuscolari e neurologiche, la Malattia di Vata non può essere equiparata ad una singola categoria patologica. Come la Malattia di Vata, il cancro comprende un insieme di condizioni morbose affini. Ciò che distingue il cancro dalle altre patologie è la ribellione delle cellule contro l'identità dell'organismo, una ribellione in cui, attraverso un ripetuto insulto immunitario, le cellule sediziose si riproducono autonomamente, al di fuori di ogni controllo da parte dell'organismo. Tutte le forme di cancro interessano i tre Dosha, ma, quando una patologia insorge in seguito ad un'alterazione di Vata e si manifesta attraverso una sintomatologia simile a quella di una forma di malattia Vata, va identificata come Malattia di Vata, anche se non tutti i tumori sono Malattia di Vata, cos' come la Malattia di Vata non è limitata al cancro.
Il dottor Vasudev D. Agate è docente di anatomia presso la facoltà di medicina ayurvedica nella quale io ho studiato. Il suo calvario iniziò il 17 aprile 1988, attorno alle dieci e un quarto di sera: si era coricato da poco quando un dolore lancinante gli trafisse il centro della pianta del piede, come se qualcuno gli avesse inferto una pugnalata. Il dolore continuò ad aumentare e non c'era cura che fosse in grado di attenuarlo. Gli esami dl sangue a cui si sottopose il giorno seguente evidenziarono un aumento dei glibuli bianchi pari a dieci volte il,valore normale, inoltre il 19% dei leucociti erano blastociti, cioè cellule immature. Dopo un secondo esame del sangue, che confermò l'esito di quello precedente, il professor Agate si sottopose ad una biopsia del midollo osseo. La diagnosi fu una sentenza di morte: leucemia mieloblastica acuta in fase avanzata, una malattia che, anche se curata con la chemioterapia, non concede al paziente più di un anno di vita. Nel giro di un giorno, dal 2 al 3 maggio, i blastociti aumentarono del 67%, e gli specialisti sentenziarono che al professore Agate sarebbero rimasti da otto giorni a due mesi di vita ma in cuor loro pensavano che con ogni probabilità la morte sarebbe sopraggiunta nell'arco di 24 ore. Dapprima gli proposero di sottoporsi a cure sperimentali molto costose ma poi, da medico a medico, gli consigliarono di andare a casa ad aspettare la fine.
Quella sentenza di morte sconvolse il dottor Agate, che fu colto da una profonda crisi di pianto. Il 3 maggio, Vaidya B. P. Nanal, il più eminente medico ayurvedico di Poona, andò a trovarlo e si trattenne con lui a lungo, cercando di ricostruire l'evoluzione della sua malattia. Emerse così che quella che sembrava una patologia con un esordio improvviso, in realtà era stata preceduta da numerosi segni premonitori. In marzo la moglie del dottor Agate aveva avuto un presagio infausto e, dal 12 aprile, il marito aveva cominciato a lamentare dolori in strane parti del corpo, per esempio al centro dell'avambraccio e del palmo della mano; ma sia lui che la moglie, anche lei medico, li avevano attribuiti ad uno sforzo fisico. Un farmaco ayurvedico aveva temporaneamente soppresso il dolore ed il mattino del 17 aprile il dottor Agate aveva detto: "Oggi non farò sforzi, starò a riposo tutto il giorno e vediamo che cosa succede."
Vaidya Nanal aveva visitato per la prima volta il collega nel 1967 e già allora aveva notato che Agate aveva una costituzione di tipo vata-pitta "molto delicata", mostrava un cattivo nutrimento del tessuto midollare (come provavano, fra l'altro, l'improvviso distacco della retina di cui aveva sofferto in seguito ad attività sportiva, ed un improvviso episodio di cecità temporanea), un cattivo nutrimento del sangue (la sua emoglobina non aveva mai superato i 7,5 gm/100 ml, un valore corrispondente alla metà di quello normale; inoltre soffriva di epistassi e di altre forme minori di emorragia, soprattutto nei mesi estivi) ed aveva l'abitudine di mangiare ogni sorta di cibo dannoso per la salute.
Vaidya Nanal ignorò gli esami del sangue, il referto della biopsia e la diagnosi dei medici allopatici, e preferì esaminare il caso da un punto di vista strettamente ayurvedico. Quando vata penetra nelle ossa o nel midollo, provoca dolore intenso alle ossa e alle articolazioni, perdita di forza muscolare, insonnia e dolore costante e diffuso in tutto il corpo. Questi sintomi e la costatazione del cattivo stato di nutrimento dei tessuti, rendevano chiara la diagnosi: Malattia di Vata, cioè vata-nelle-ossa-e-nel-midollo, con perdita secondaria di ojas (un sintomo della quale è l'intensa paura). La prognosi, pensò Vaidya Nanal, non era fausta: "Se si attiene ad un corretto regime alimentare, andrà tutto bene ma questa è soltanto una terapia fisica; il paziente deve assumere il giusto atteggiamento mentale ed in questo momento è in preda al terrore; benché la sua capacità di discernimento sia soddisfacente, ahamkara [la forza che determina l'individualità di un organismo, l'Io], può creare qualche problema.
Vaidya Nanal, ha conservato le cartelle cliniche di pazienti, che in un periodo di venti anni, dopo essersi sottoposti a chemioterapia, interventi chirurgici e radioterapia, sono completamente guariti dal cancro grazie alla medicina ayurvedica. Nel caso del dottor Agate, tuttavia, la medicina allopatica non era nemmeno in grado di esprimere una terapia, perciò sarebbe dovuto bastare il trattamento ayurvedico. Il principale obiettivo della cura doveva essere quello di calmare vata e di purificare il sangue. Il dottor Agate sospese ogni altra terapia (ad eccezione dei sali cellulari omeopatici) e a partire dalle 7 del mattino del giorno 7 maggio seguì soltanto le indicazioni di Vaidya Nanal. Per prima cosda assunse una polvere contenente bhasma [preparazione calcinata molto elaborata] di argento e tormalina, mescolata con ashvagandha, Sariva [Hemidesmus indicus - salsapariglia indiana], zolfo purificato, estratto di perla, noce vomica purificata ed altri ingredienti, ed insieme a Dhatri Leha (una marmellata purificata a base di amalaki); dopodiché mangiò due mandorle messe a bagno la sera precedente; bevve latte medicato con ashvagandha ed altre painte. Dopo mezz'ora assunse sue pillole di Arogya Vardhini e due pillole di un preparato a base di curcuma con tre cucchiaini di ghee. "La maggior parte degli scienziati sconsiglia il consumo di grassi agli ammalati di cancro ma io ne mangiai molti" dichiara il dottor Agate.
A mezzogiorno e alla sera, assunse altre due pillole di Arogya Vardhini e di curcuma e, prima di coricarsi, un cucchiaino colmo di Gandharva Haritaki (un praparato a base di haritaki e olio di ricino), con un decotto di erbe fra i quali sariva. Oltre a questa terapia, il paziente si sottopose ogni giorno ad una triplice seduta di massaggi con olio di Bala Narayana: ogni massaggio, che durava trenta minuti, era seguito da un'applicazione di acqua calda della durata di un quarto d'ora: l'olio ed il calore sono importantissimi per il controllo di vata. L'olio veniva spalmato lentamente e con estrema delicatezza, perché alla minima pressione, l'ammalato urlava di dolore. ⟶ Continua
martedì 26 marzo 2019
lunedì 21 gennaio 2019
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